Marca tipografica

E’ una marca, uno stemma, un emblema con cui lo stampatore, o l’editore identificavano le proprie edizioni. Tipico elemento tipografico del ‘500 e del ‘600, raro nel ‘700, praticamente del tutto scomparso in epoca successiva. La marca tipografica si trovava dapprima al colophon, poi al frontespizio, quando questo sostituì il colophon. Si tratta in genere di una incisione che rappresenta un emblema personale, un simbolo, uno stemma araldico o pseudo-araldico. Nonostante il nome, la marca tipografica serviva a distinguere l’editore più che lo stampatore tipografo, quando i due ruoli furono ben distinti. Per evidenti motivi, la M.T. è l’unico elemento veramente originale del frontespizio (titolo dell’opera, autore, anno e curatore potevano trovarsi anche nei codici manoscritti). La volontà di sottolineare e distinguere la proprietà non è però originale, ma risale a tempi molto più antichi di quelli dell’invenzione della tipografia. Fin dall’antichità i vari mercanti erano soliti contrassegnare i propri prodotti con emblemi e simboli vari. E’ quello che nel mondo anglosassone viene definito trade-mark. Si tende cioè a marcare le proprietà mobili, per identificarne il proprietario e la provenienza. E’ notevole, in questo senso, il fatto che fin dalle origini il libro a stampa sia stato identificato come oggetto commerciale da chi lo produceva. La prima M. T. nota è quella di Fust e Schöffer, nel Salterio del 1457. Incuriosisce il fatto che non fu usata in tutte le copie dell’opera. La marca era costituita da due scudi uniti da un ramo. All’interno degli scudi, simboli variamente interpretati: secondo alcuni rappresenterebbero gli strumenti dei fonditori di caratteri. Fu una marca molto imitata dai prototipografi, soprattutto tedeschi, spesso con variazioni dei simboli all’interno degli scudi stessi. Non raro anche il caso di stampatori che si attribuirono varie armi araldiche, la cui validità è del tutto opinabile… Comune fu anche l’uso di rappresentare pittoricamente il proprio nome. Alcuni casi famosi sono quelli di Gilles Couteau, che riproduceva coltelli nella propria marca e di Adam du Mont, la cui marca rappresentava Adamo ed Eva dinanzi all’albero dei frutti proibiti. Un emblema molto diffuso fu quello del globo sormontato da una croce (su tutti, l’esempio di N. Jenson), il cui significato non è mai stato chiarito in maniera soddisfacente. Alcuni lo fanno derivare dal simbolo pagano di Mercurio (il greco Hermes), protettore del commercio. Per quanto molto usato, è possibile che il significato del simbolo sfuggisse agli stampatori stessi, i quali lo adottarono semplicemente per imitazione di quello dei colleghi. Numerosi furono anche gli stampatori che usarono gli stemmi nobiliari di autorità locali (lo stemma dei Medici usato da Torrentino, quello Sabaudo in certe edizioni torinesi). In certi casi lo stesso stemma Pontificio viene ad assumere anche il significato di M. T. In Italia, il primo stampatore ad adottare un emblema fu, a Roma, Sixtus Riessinger. Tutte le marche dei tipografi-editori italiani sono sempre state di grande interesse per gli studiosi. Aldo Manuzio usò la sua famosa marca (l’ancora con il delfino) soltanto a partire dal 1502, cioè otto anni dopo l’inizio della sua attività. L’importanza pratica dell’insegna deve sempre essere tenuta presente. Costituiva una garanzia contro le numerose edizioni contraffatte. Manuzio, i Giunti, e numerosi altri tipografi dovetterro sempre fare i conti con le numerose imitazioni delle loro edizioni di maggior successo. In alcuni libri gli stampatori pubblicavano indicazioni su come riconoscere l’edizione originale da quella contraffatta, proprio grazie alle caratteristiche della M. Esempio tipico quello del bolognese Benedetto di Ettore Faelli, che in un Giustino del 1505 ed in uno Svetonio del 1506 invita i lettori a porre attenzione alla marca ”nam quidam malivoli impressores libris suis… apponunt nomen meum ut ita fiant vendibiliores”. Per un certo periodo la M.T. rimase anche alla fine del volume, in genere dopo il registro e le note tipografiche. In molte edizioni antiche se ne trovano due: una al frontespizio e una in fine, spesso di dimensioni diverse. La necessità di armonizzare la M.T. con i restanti elementi del frontespizio fu molto sentita dagli stampatori del Rinascimento. Per questo le M. T. di uno stesso editore possono variare di dimensioni e di posizione da un’opera all’altra. Come si è detto, quando il ruolo dell’editore si differenziò nettamente da quello del tipografo, la M. identificò l’editore più che lo stampatore. In casi molto rari si possono però trovare due M.T., una dell’editore e una dello stampatore. Verso la fine del Cinquecento anche la M. T. risentì degli influssi del Manierismo imperante. Trasformata in ”impresa” e ”insegna”, perse il significato pratico originario per divenire più che altro un elemento puramente decorativo. Tipografi ed incisori si sbizzarrirono alla ricerca delle formule più varie, al punto che uno stesso editore poteva avere più d’una M. I vari motti usati nelle impresi hanno spesso attirato l’attenzione degli studiosi. Alcuni indicano la consapevolezza dell’importanza del proprio lavoro (”Tentanda via est”, ”Virtute duce, Comite fortuna”), altri fanno pensare a rivalità tra i vari produttori di libri (”Armatus in hostem”, ”Invidia fortitudine superatur”), molti sembrano indicare una qualche preoccupazione ed insicurezza, comuni in un lavoro difficile e non sempre accompagnato dal successo economico.