La Bucchereide. Poema. Con la cicalata del medesimo autore sui Buccheri

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Milano, 1863

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Descrizione

Bellini Lorenzo
La Bucchereide. Poema. Con la cicalata del medesimo autore sui Buccheri. Con l’aggiunta della Prefazione degli Editori Fiorentini del 1729 ed un’avvertenza dei nuovi Editori
Milano, G. Daelli e C. Editori, 1863
Volume in 16° (10,5 x 16,5); pagine XLIII, (1), 164, (4). Brossura editoriale con titoli entro bordura xilografica istoriata, bella vignetta incisa al frontespizio. Ristampa nella Biblioteca rara (vol. XXVII) del celebre poema belliniano, autentica Iliade dei buccheri preceduta da un’avvertenza di Eugenio Camerini, curatore dell’edizione (sotto lo pseudonimo Carlo Tèoli). La Bucchereide, scherzosa risposta alle Lettere sulle terre odorose d’Europa e d’America dette volgarmente buccheri scritte da Lorenzo Magalotti nel 1695 (ma edite postume solo nel 1825), costituisce la sintesi più felice di un intreccio di vari motivi e sollecitazioni – parimenti efficaci nell’animo dello scrittore: dal gusto tutto erudito per la divulgazione di una serie di notizie, ritenute rare e peregrine, alla propensione per una materia esotica, già divulgata con frivola e sensuale disinvoltura dal filosofo morbido sino alla avidità, tutta accademica, di mostrare quanto il nostro idioma possa congiungere con la facilità e la chiarezza del dire, la maestà, la sublimità, l’eminenza (da una lettera al Menzini dell’8 ott. 1690): un proposito che si sarebbe realizzato, a gara con la dovizia linguistica ostentata dal Magalotti, in una stupefacente mescolanza di varie forme metriche, nel bizzarro e raro accostamento di voci erudite, colloquiali, familiari, com’è vero che il B. tentò di superare il modello esasperando il tono di geniale chiacchierata con una ingegnosa sequenza di digressioni, osservazioni e precetti faticosamente equilibrati tra il serio e il faceto. Il poemetto, preceduto da una cicalata in prosa che il B. recitò alla Crusca nel 1699, fu pubblicato postumo, a Firenze, nel 1729. Si compone di due proemi, di cui il primo in forma di ditirambo, l’altro diviso in quattro parti di cui tre in ottava rima e l’ultima in vari metri, quasi a voler ribadire la spensieratezza e il senso di estrema libertà con cui l’autore si era accinto a presentare una materia didascalica. (Giulio Coari – Claudio Mutini in D.B.I., VII). Qualche segno del tempo, un po stanco il dorso ma è copia più che discreta.